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Paradosso per le aziende: punite per i ritardi della Pa

di Maria Carla De Cesari

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22 Ottobre 2008

Il paradosso che mette a rischio la vita di molte imprese creditrici della pubblica amministrazione sta nel fatto che i ritardi nei pagamenti diventano, per gli enti, la "liberatoria" per bloccare la liquidazione delle fatture. Se i datori di lavoro – in attesa di ricevere i compensi per le commesse – "saltano" per mancanza di liquidità anche solo una scadenza di versamento delle ritenute fiscali e dei contributi, diventano «aziende irregolari». Due le conseguenze: l'Inps revocherà le agevolazioni contributive e richiederà la differenza tra i contributi in misura piena e quella scontata. La pubblica amministrazione debitrice sarà tenuta a non pagare le fatture superiori a 10mila euro, fino a compensare quello che viene quantificato come debito.
Il meccanismo perverso rischia di mandare fuori mercato molte imprese che devono fare i conti con i pagamenti della Pa al contagocce. Una situazione che si aggrava in questo periodo viste le difficoltà nei finanziamenti e negli anticipi bancari.
«La burocrazia – afferma Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro – rischia di far chiudere migliaia di imprese. La norma di salvaguardia della pubblica amministrazione non può essere utilizzata per punire chi si trova in difficoltà a causa del mancato rispetto dei contratti da parte degli enti pubblici».
Sono stati prima il decreto legge 262/2006 (legge 286) e poi il decreto ministeriale 40/2008 a disciplinare, prima di procedere al pagamento (per somme superiori a 10mila euro), l'obbligo di verifica, da parte delle pubbliche amministrazioni, circa l'esistenza di inadempimenti delle imprese creditrici. Il controllo avviene attraverso la "banca dati" di Equitalia. Ma il legislatore non ha fatto i conti con il circolo vizioso innescato dai ritardi delle pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, per le aziende i problemi non si fermano qui. «È necessario – spiega Calderone – mettere in ordine gli archivi dell'Inps. In alcuni casi, infatti, risultano debiti inesistenti e il mancato rilascio del documento di regolarità contributiva provoca la revoca delle agevolazioni, per esempio quelle collegate alle assunzioni dei disoccupati di lunga durata».
Ma come è possibile che gli archivi dell'Inps non rispecchino la reale situazione delle aziende? Tra le cause del mancato allineamento figura la coesistenza di procedure informatiche – la comunicazione telematica di assunzione – e di dossier su carta, per esempio il modello che autocertifica, per il lavoratore assunto, l'esistenza dei requisiti per gli sconti contributivi. Le notizie, che viaggiano su canali diversi, talvolta non si incrociano con tempestività e l'Inps "sentenzia" l'irregolarità dell'azienda.
Tra l'altro, per fruire delle agevolazioni contributive i datori di lavoro devono autocertificare all'Inps, una volta l'anno, di essere in regola con i pagamenti: il 31 ottobre scadono i termini per chi ha iniziato l'attività quest'anno. Ma per i consulenti, questo adempimento è una duplicazione, non prevista da alcuna legge. Al ministero del Lavoro è pronta una nota che invita a desistere dalla richiesta. L'Inps attende comunicazioni ufficiali.

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